
Lo straniero di Albert Camus è un libro che è tutt’uno col titolo. Del resto è proprio in quella brevissima formula scritta – la forma letteraria più breve possibile – che si dovrebbe condensare l’essenza di un libro. A volte il titolo ci dà la chiave per poter decifrare il senso dell’intera opera, altre volte rimane poco comprensibile – o non perfettamente inquadrabile – anche alla fine della lettura. Ma se ci sono autori come Domenico Starnone che amano i titoli di una sola parola, io amo quelli che nel titolo riassumono con perfetta sintesi l’intera essenza di quel malloppo di carta, inchiostro e parole che ci troviamo tra le mani e sul quale abbiamo passato alcune ore della nostra vita.
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Di titoli che rispecchiano queste caratteristiche me ne vengono in mente alcuni: Cronaca di una morte annunciata, L’amico ritrovato, La separazione del maschio. Ma anche Il mare non bagna Napoli. E tra questi inserirei Lo straniero di Albert Camus, primo romanzo del francese pubblicato nel 1942.
Lo Straniero di Albert Camus
Un romanzo breve (poco più di 100 pagine) e perfetto nella sua struttura, in cui l’autore racconta cosa accade quando si è stranieri, oltre che al mondo, anche a sé stessi. Protagonista è Meursault, un impiegato francese che vive in Algeria (all’epoca sotto il controllo della Francia), che il lettore incontra nel momento in cui viene a sapere della morte della madre.
«Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Non significa niente. Forse è stato ieri».
In questa tragica situazione ci si trova davanti a un personaggio che racconta in prima persona gli eventi di cui è protagonista, ma lo fa con un distacco talmente palese che sembra forzato, finto. Pagina dopo pagina, però, ci si accorge che quel modo di raccontare è legato a doppio filo con l’essenza del personaggio. Soprattutto nelle prime battute, si rimane spiazzati davanti al racconto di certi particolari e ci si chiede: perché l’autore mi sta raccontando queste cose in questo modo?
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Perché lo Straniero è scritto così
La risposta a questa domanda arriva nella seconda parte del romanzo, dopo l’evento che sconvolge (?) la vita di Meursault: l’uccisione di un arabo a colpi di pistola su una spiaggia di Algeri. Il protagonista/narratore viene arrestato e il suo racconto procede tra le giornate in prigione e le udienze in tribunale, riferendo degli incontri con avvocati e giudici.
È proprio in questa parte del romanzo che comincia a diventare chiaro perché Camus ha fatto dire certe cose al suo protagonista e perché gliele ha fatte dire in quel modo così privo di coinvolgimento emotivo. Con un tale distacco che sembra quasi di trovarsi davanti a un maestro zen che non si fa trascinare dalle cose della vita, ma le accetta e le vive per quelle che sono.
«Il principale mi ha fatto chiamare. […] Aveva intenzione di aprire un ufficio a Parigi per trattare i suoi affari sul posto […], e voleva sapere se fossi disposto ad andarci. Questo mi avrebbe consentito di vivere a Parigi e anche viaggiare per una parte dell’anno. “Lei è giovane, e immagino che questo tipo di vita possa piacerle”. Ho detto che sì ma in fondo per me era lo stesso. Allora mi ha chiesto se non m’interessasse cambiare vita. Ho risposto che non si cambia mai vita, che comunque una vita vale l’altra e che la mia lì non mi dispiaceva affatto. […] Avrei preferito non deluderlo ma non vedevo nessuna ragione per cambiare la mia vita. A pensarci bene, non ero infelice. Da studente avevo molte ambizioni di quel tipo. Ma quando m’è toccato abbandonare gli studi ho capito in fretta che quelle cose non avevano una vera importanza».

La qualità dello Straniero di Camus
La grande qualità dello Straniero di Albert Camus credo si trovi proprio nella grande coerenza interna e nel legame fortissimo che c’è tra stile, storia e messaggio. L’obiettivo di Camus, come racconta Roberto Saviano nell’introduzione all’edizione Bompiani del 2015, è evidentemente quello di raccontare «l’estraneità dell’uomo alla società, all’universo intero». Ma se Camus vuole parlare proprio di questo è perché lui stesso ha vissuto questa situazione: «Camus nella sua vita si sentirà straniero sempre e per tutti. Straniero in Algeria perché privilegiato, straniero tra i francesi perché proveniente da una famiglia di pieds-noirs. Ma straniero anche e soprattutto per la sua condizione di uomo; quindi, in definitiva, straniero tra stranieri», scrive Saviano.
Ecco perché Camus sentiva l’urgenza di trattare questo tema. Ma per farlo non deve solo inventarsi un personaggio adatto, cioè Meursault, ma deve costruire anche una storia che faccia emergere nella sua stessa struttura quel senso di estraneità. La vita del protagonista, raccontata nella prima parte del romanzo, ritorna nella seconda, durante il processo in cui è accusato di omicidio. Ogni particolare raccontato in precedenza viene ripreso successivamente, con una serie di rimandi interni che rendono evidente la maestria dell’autore.
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Lo stile dello Straniero di Camus
Lo stile, inoltre, è essenziale nel far emergere la grande coerenza e coesione de Lo Straniero di Albert Camus. Sulla questione si concentra un articolo di Alessandro Piperno, pubblicato sulla “Lettura” del 22 novembre 2020: «Camus ha dovuto inventare una lingua artefatta per rendere plausibile il più impassibile dei personaggi». E in effetti quella scrittura fatta di frasi principali e l’utilizzo insistente del passato prossimo servono proprio a delineare un personaggio. Servono a Camus per trasmetterci un’idea. Senza l’estraneità non esisterebbe Meursault, senza Meursault non esisterebbe quello stile, senza quello stile verrebbe meno la struttura stessa dell’opera. Ogni elemento regge l’altro.
Il tema cardine dell’estraneità, poi, si intreccia anche alla critica del sistema giudiziario. A un certo punto, mentre Meursault segue le discussioni tra il suo avvocato e il procuratore, emerge un pensiero spiazzante:
«Per certi versi era come se discutessero il caso lasciando fuori me. […] Io ascoltavo e sentivo che mi giudicavano intelligente. Ma non capivo bene in che modo le qualità di un uomo normale potessero diventare prove schiaccianti contro un colpevole».
Il sistema giudiziario, che dovrebbe dire chi è nel giusto e chi nel torto, in realtà pensa solo a sé stesso e alle sue regole, perdendo di vista l’accusato e il reato che ha commesso. Non si vuole capire se Mersault ha ucciso o no un uomo, ma si vuole fare di tutto per appesantire la sua posizione o alleggerirla, in un sistema che è più attento ad aggravanti e attenuanti che al fatto compiuto. Ma in fondo la giustizia è fatta e pensata dalla società, da quell’insieme di uomini che sono estranei agli altri e – ormai è chiaro – anche a sé stessi.
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