Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati è uno di quei romanzi in cui trovi cose che non avresti mai pensato di trovare. La quarta di copertina di un libro dovrebbe dare al lettore un’idea abbastanza generale, ma precisa, del romanzo che ci si trova tra le mani. Almeno in teoria. L’edizione Oscar Mondadori di Don Giovanni in Sicilia, però, non fa il suo lavoro come si deve: il riassunto della storia, infatti, dà un’idea assolutamente sballata rispetto a quello che in realtà è il romanzo di Brancati.
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Più avanti mi concentrerò sul perché questa sinossi del romanzo è riduttiva e fuorviante (almeno per me). Al momento vi basti sapere che questo piccolo libro, lungo poco più di 130 pagine, pubblicato nel 1941, è un romanzo bello nel complesso. Bellissimo nella prima parte, meno nella seconda. Parla di uomini che desiderano le donne e di quanto sia diversa la realtà dagli esaltati racconti maschili.
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Perché ho letto Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati
Vitaliano Brancati è uno di quegli autori di cui ho sentito spesso parlare, ma di cui non avevo mai letto alcunché. Credo di averlo sentito nominare per la prima volta in qualche edizione di Per un pugno di libri (storico programma in onda su Rai 3), quando ancora lo conduceva Neri Marcorè. Uno dei giochi del programma – in cui si sfidavano le classi di due scuole superiori – consisteva nell’indovinare l’autore del titolo che veniva citato dal conduttore. In questo modo, vista anche la ripetizione dei libri, una puntata dopo l’altra ho conosciuto tantissimi romanzi, italiani e stranieri: devo ammettere che una parte della mia “cultura generale letteraria” deriva proprio da quel gioco.
C’è poi un’altra occasione in cui il nome di Brancati è venuto alla mia attenzione. Nel settembre 2019, su “La lettura”, uscì un articolo di Francesco Piccolo in cui si parlava del Bell’Antonio di Brancati. L’articolo faceva parte di una serie in cui si analizzavano alcuni personaggi maschili della letteratura italiana. E non è un caso che l’autore di quei pezzi fosse proprio Francesco Piccolo, uno scrittore che è letteralmente ossessionato dal “maschio italiano”. E, a tal proposito, non posso che consigliare la lettura di un suo breve ma significativo romanzo, La separazione del maschio.
Nel frattempo, un mio amico mi parlò molto bene della sua ultima lettura, Paolo il caldo, sempre di Brancati. Capite bene che quando poi mi trovai davanti al naso, nella libreria Pacifico di Caserta, Don Giovanni in Sicilia, l’acquistai senza pensarci su due volte. (Ricordate: comprare libri online non conviene più).
Cosa racconta
Non sapevo cosa aspettarmi riguardo Don Giovanni in Sicilia, e non avevo letto nemmeno la quarta di copertina al momento dell’acquisto, tanto ero curioso di leggere qualcosa dell’autore. In seguito, però, mi sono accorto che la sinossi faceva scaturire un’idea del romanzo assolutamente non conforme al suo reale contenuto. Ve la riporto, dall’edizione Mondadori, così ci ragioniamo su:
«Don Giovanni in Sicilia racconta la storia di Giovanni Percolla, scapolo quarantenne consumato da un’inestinguibile sete sessuale. A un tratto, però, Percolla riesce a imprimere una svolta radicale alla propria vita grazie all’amore per la giovane Ninetta, che diviene sua sposa. Per desiderio della moglie Giovanni abiura gli amici, le sorelle, tutte le abitudini, e si trasferisce a Milano. Il viaggio si rivela però un fallimento e i due, incapaci di adattarsi alla nuova realtà, decidono di tornare in Sicilia. Qui ben presto Percolla precipita nella stessa inerzia fatta di gesti sterili e ripetitivi da cui aveva illusoriamente creduto di voler fuggire».
Ok, siamo d’accordo, il protagonista è Giovanni Percolla. Poi si dice: “Scapolo quarantenne consumato da un’inestinguibile sete sessuale”. A leggere questa frase sono portato a pensare che Percolla sia un uomo che ha grande successo con le donne, che pur avendone tante non gli bastino mai. Ma così non è.
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Percolla è tutt’altro che un “Don Giovanni”: non ha mai toccato una donna (che non sia “a pagamento”) in vita sua. Passa le giornate fuori i bar di Catania a guardare le femmine con i suoi amici, e a fare versi strani appena vede una caviglia scoperta. Frequenta le prostitute, come era d’uso fare in quegli anni del primo dopoguerra. Ma di donne che veramente lo desideravano neanche l’ombra. Inoltre, Giovanni è svogliato e viziato: vuole lavorare il meno possibile, si fa coccolare dalle sorelle non sposate e il pomeriggio dorme come un ghiro. Guai se qualcuno lo disturba! Tutti questi elementi emergono nella prima parte del romanzo, con uno stile molto leggero e divertente, del quale parlerò tra poco.
Le cose per Giovanni cambiano nel momento in cui conosce Ninetta, la ragazza che poi diventerà sua moglie. Il nostro protagonista è così imbranato che non riesce neanche a parlare alla donna, pur avendo chiarissimi segnali di interesse da parte sua. In ogni caso, grazie a un colpo di fortuna – come fortunato è il caso che Ninetta si sia innamorata di lui – i due si mettono insieme e di lì a poco si sposano. Poi c’è il trasferimento a Milano. E tutto il resto che viene detto nella sinossi della quarta di copertina. Capite bene, però, che è fin troppo fuorviante ciò che è scritto nel retro del libro. Sembra quasi che l’intero focus sia sul viaggio a Milano e sulla volontà di cambiare la propria vita senza riuscirci. Tema, quest’ultimo, assolutamente presente, ma di certo non così centrale, a mio avviso.
Come è scritto
Quindi, dagli elementi di cui ho parlato sopra capiamo che il titolo scelto da Brancati, Don Giovanni in Sicilia, è chiaramente ironico. Del resto, lo stile dell’autore siciliano si basa tutto sulla comicità involontaria dei personaggi: di Giovanni, sì, ma anche delle sorelle e degli amici catanesi. Il registro è costantemente sul comico per tutta la prima metà del libro, quando cioè ci viene raccontata la vita da scapolo del protagonista. Qui credo che il romanzo abbia i suoi punti migliori: il tema del maschio che desidera le donne, ma non è in grado di conquistarle. Un mondo tutto fatto di sguardi e parole pronunciate tra amici: perché non si ha nemmeno il coraggio di rivolgere la parola a una donna. Il personaggio di Giovanni credo emerga con estrema nitidezza e piacevolezza.
La narrazione è sempre in terza persona, ma è molto partecipata, e il narratore riporta con ironia racconti e commenti dei vari personaggi, in una commistione di voci che in alcuni punti ricorda il discorso indiretto libero di Giovanni Verga.
Nella seconda parte del romanzo, però, le cose cominciano a cambiare. Oltre alla materia del racconto (dalla vita da scapolo si passa alla vita da sposato), c’è un cambio anche nel tono. Già nella fase dell’innamoramento, Brancati utilizza uno stile che oscilla tra il poetico e l’onirico (soprattutto al momento del “fidanzamento”). Quando poi la narrazione si concentra sulla vita matrimoniale, si percepisce nettamente un cambio di registro. Da questo punto in poi non ho sentito lo stesso Brancati della prima parte, sempre divertente e mai stancante. Probabilmente è una scelta ponderata dell’autore, per sottolineare la pesantezza del matrimonio, ma ammetto che non mi ha particolarmente colpito. La conclusione, invece, credo chiuda in maniera molto sensata il cerchio del racconto.
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Una citazione di Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati
A questo punto, credo abbia senso riportarvi un brano del romanzo, tratto dalla prima parte. Siamo alla fine del terzo capitolo. È un momento abbastanza doloroso, che spezza per un momento il susseguirsi di scene ironiche che mettono in risalto l’assurdità di certi comportamenti del maschio catanese. La verità che esce fuori, e che il lettore aveva intuito, è forse tra le più dure per un uomo “obbligato” ad apparire diverso da quello che è.
«D’altronde, se la loro esperienza del piacere era enorme, quella delle donne era poverissima. Spogliato delle bugie, di quello che essi narravano come accaduto e che era invece un puro desiderio, o era accaduto a qualcun altro, il loro passato di don Giovanni si poteva raccontarlo in dieci minuti.
Dobbiamo dirlo chiaramente? Giovanni Percolla, a trentasei anni, non aveva baciato una signorina per bene, né aveva mai sentito il freddo aspettando di notte, dietro il cancello, una ragazza che, un minuto dopo lo spegnersi della lampada nella camera del padre, si avvicinasse fra gli alberi tenebrosi del giardino incespicando nella lunga camicia bianca. Non aveva scritto né ricevuto una lettera d’amore, e il ricevitore del telefono non gli aveva mai accarezzato l’orecchio con le parole “amor mio”».
Dietro quella gran voglia di apparire gallo, forte, grande amatore, si nasconde un uomo solo. Credo che il grande pregio del romanzo sia proprio raccontare questo lato “oscuro” del maschio. Non lontano da quello che accade ancora oggi.
Cosa ne penso, in conclusione
Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati credo sia un libro per certi versi straordinario. Non avevo mai letto un romanzo in cui venisse messa così in evidenza l’apparenza virile del maschio che nei fatti non trova riscontro. Su questa opposizione, del resto, si basa molta narrativa di Brancati. Inoltre, ho molto apprezzato lo stile comico della prima metà, ottimo per far emergere la figura del maschio e metterla alla berlina. In fondo, sembra dirci Brancati, non ha senso fare i duri in questo modo, perché, quando si viene a scoprire la realtà, si diventa semplicemente ridicoli. Eppure il maschio catanese, Giovanni Percolla, ragiona così perché in quel contesto quelle sono le regole del gioco. C’è poco da fare. E uscire fuori da quel modo di pensare e di comportarsi diventa, nella pratica, assolutamente impossibile.
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Condivido in pieno le perplessità sulle sinossi proposte nelle varie edizioni di questo libro. Ho trovato perfetta l’analisi di Donato Riello che restituisce un quadro più complesso del romanzo e del protagonista ed evidenzia come la tematica “maschio” sia piuttosto sentita da Brancati, che in tutti i suoi romanzi non perde l’occasione per sottolinearne i limiti e il ridicolo . Personalmente ho anche trovato innovativo il linguaggio usato.