È commovente lo sguardo sorpreso con cui il protagonista dell’Uomo che cammina, manga di Jiro Taniguchi, osserva la vita quotidiana che scorre nelle strade di una città giapponese. Lo stupore continuo con il quale questo semplice impiegato si guarda attorno e si sofferma sulle piccole meraviglie che lo circondano regala al lettore un profondo senso di calma e tranquillità.
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Una bucolica vita urbana
La storia è quasi banale, per certi aspetti insignificante. Un uomo qualsiasi, apparentemente senza nulla di speciale, si trasferisce in una nuova casa e si abbandona a lunghe passeggiate durante le quali, per le strade della città, incontra animali, osserva persona, si lascia trasportare dal ritmo lento che hanno le periferie, in una visione quasi bucolica della vita urbana.
La grande natura
Già dal primo dei diciotto capitoli, l’autore ci mostra quell’espressione stupita che incontreremo per tutto il racconto. Il nostro everyman, appena arrivato nella nuova abitazione, mentre la moglie è intenta scartare gli imballaggi del trasloco, decide di andare a fare un giro per conoscere la zona: attraversa il piccolo fiume vicino casa e si addentra nel boschetto che cresce su una riva. Subito si ferma a guardare un albero, grandissimo, mastodontico, e lui appare minuscolo al cospetto di tale gigante fatto di legno e foglie. In questa scelta, è evidente fin da subito l’importanza che ha il tema per Taniguchi: un singolo disegno in cui viene raffigurata la differenza di statura tra uomo e albero ci dice molto del rapporto tra la piccola umanità e la grande natura.
Nel prosieguo della camminata, il protagonista incontra un vecchio signore che sta facendo birdwatching: l’anziano gli offre subito il cannocchiale, e l’impiegato osserva stupito una cinciallegra. Un uccello comunissimo in quella zona, eppure così straordinario agli occhi del protagonista.
Senza la stanca routine
Di qui gli episodi proseguono uno dietro l’altro e ci raccontano, in un continuo susseguirsi di immagini che prevalgono su sparuti dialoghi, quel senso di costante scoperta. Non ci sono scene in cui viene rappresentato il protagonista durante la sua attività lavorativa: evidentemente non c’è nulla di speciale in quella stanca routine – sembra volerci dire l’autore – quindi non ha alcun senso rappresentarla.
Un andare senza meta
Del resto, nel nostro mondo l’economia e la produzione hanno un’importanza quasi religiosa, le vite delle persone sono occupate e hanno senso soltanto quando sono impegnate a produrre valore, a guadagnare denaro. Ma questo paradigma viene totalmente rovesciato da Taniguchi: la vera gratificazione dell’uomo è nel godere appieno delle piccole cose, del contesto in cui vive, ma per farlo ha bisogno di cambiare prospettiva sul mondo, avere un altro punto di vista; non deve avere la fretta di raggiungere la destinazione, in mezzo al traffico della vita quotidiana, ma ha bisogno di rallentare e camminare tra le stradine secondarie della propria cittadina, godendo delle continue meraviglie che si incontrano. Magari anche perdendosi in questo andare senza meta.
Una lezione necessaria
Conoscevo solo il nome di Jiro Tanguchi, mangaka nipponico morto nel 2017 e tra i più apprezzati in tutto il mondo, ma ho avuto l’opportunità di leggere questo suo lavoro, L’uomo che cammina, grazie all’iniziativa del “Corriere della Sera” che sta pubblicando la sua opera in trenta volumi (al prezzo di 9,90€ ciascuno). Sono rimasto piacevolmente colpito dal modo così particolare di raccontare una storia minima, fatta di frammenti, di piccoli episodi dove il protagonista è un uomo della cui vita sappiamo pochissimo, ma che si lascia meravigliare dalle piccole cose che lo circondano o incontrate durante le sue lunghe camminate. Una lezione che, per quanto banale, di certo già vista e forse sempre uguale dalla notte dei tempi, appare oggi assolutamente necessaria.