I motivi per cui si legge sono vari. Tra questi c’è quello di farsi vedere dagli altri. Sono molte, infatti, le persone che leggono (ma più probabilmente fanno finta) con il solo obiettivo di ricevere un riconoscimento sociale, di essere considerate colte oppure per darsi un tono.
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Gli esseri umani, si sa, danno molta importanza alla propria immagine vista dagli altri. E anche chi vuole fuggire da queste regole lo fa tenendole ben presenti. Viviamo in una vera e propria dittatura della folla, dove la nostra reputazione sociale è importantissima, sempre: quando è buona, quando è pessima e anche quando è inesistente.
Per questo, quindi, ognuno si costruisce una certa immagine da sottoporre agli altri nel proprio racconto di sé, nella progettazione del proprio storytelling. Lo si fa con gli abiti che si indossano, con i luoghi che si frequentano, con gli hobby che si praticano. Ognuno dovrebbe fare ciò che si sente di fare e dovrebbe farlo perché ha una certa sensibilità e predisposizione per certe cose. Le scelte dovrebbero essere dettate dal piacere che si trae da determinate azioni. Ma spesso non è così. A seconda del ceto sociale in cui si è sviluppata la propria vita, vogliamo essere sempre più considerati ed integrati per poter ricevere i vantaggi di un determinato gruppo. E quindi, tra le cose universalmente riconosciute come positive, almeno da persone che vivono in un certo ambito socioculturale, c’è la lettura. Insomma, far vedere agli altri che si legge e si ha una buona conoscenza in tal senso è importante per modificare la propria immagine.
Credo che il titolo italiano di un libro di Bukowski sia molto indicativo per questo discorso: Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze. La furba intitolazione italiana (in lingua originale è Absence of the hero) rende bene l’idea del fare qualcosa per un fine diverso da quello che dovrebbe essere. Ma oltre a leggere o scrivere solo per riuscire a far colpo su ingenue ragazze che si lasciano facilmente impressionare, ci sono anche motivazioni che vanno più in profondità e vogliono convincerti indirettamente delle buone intenzioni e della credibilità di chi ti fa sapere qualcosa sulle proprie letture. I potenti sono mossi da questi obiettivi, che siano politici o ricchi imprenditori.
Bill Gates, Barack Obama, Emmanuel Macron, ma anche l’ex premier italiano Matteo Renzi. Tutti vogliono dire e far vedere che leggono. Perché sanno che a un certo pubblico può interessare questo aspetto. E spesso quel pubblico è il più influente economicamente e politicamente. Ecco perché vogliono accaparrarsi il loro rispetto. Ma così facendo impressionano anche il ceto sociale meno istruito che però vede nella lettura un segno positivo, pur non leggendo abitualmente, o forse non leggendo affatto. Ed è forse su queste persone che è più probabile che anche un bluff faccia effetto.
A inizio 2016 è stata stilata una classifica dal Telegraph con i libri che più spesso si finge di aver letto. Qual è il motivo? Sempre lo stesso, si ha paura di apparire inferiore rispetto alla persona che si ha di fronte o farle una brutta impressione. Quando si è a una cena di lavoro e si sta parlando con un cliente col quale si sta costruendo un rapporto professionale, oppure ci si trova a prendere un caffè con il proprio capo, chi direbbe mai di non conoscere e aver letto un certo titolo o autore che viene citato? Quasi nessuno si prenderebbe il rischio.
E del resto la cosa era ben presente anche a un grande autore come Italo Calvino. In Perché leggere i classici, lo scrittore italiano diceva che certi libri si stanno sempre rileggendo, e mai leggendo per la prima volta. Questo proprio perché l’imbarazzo di sentirsi dire «Ma come, non lo avevi mai letto?», riferito a un certo libro molto famoso, colpisce spesso.
Con i social, poi, questa smania di ostentare letture e passioni artistiche con l’intento di “distinguersi” è molto aumentata. Si vedono citazioni, foto di libri, poesie, nomi di scrittori in ogni dove. E ci si chiede: ma questa citazione viene fuori da una lettura che si sta facendo o semplicemente si è copiata dal solito aggregatore di aforismi? E ti ritrovi nel news feed di Facebook post letterari scritti da persone che quando dal vivo si parlava di libri facevano sempre le annoiate o tendevano ad aggirare velocemente l’argomento per non far notare la propria impreparazione.
In tutto questo marasma, la cosa che si perde è il senso più intimo e vero della lettura. Certo, anche i lettori accaniti vogliono condividere con gli altri il libro che si sta leggendo, le frasi che si amano, o far vedere con una foto la propria biblioteca personale. Ma ciò che differenzia i finti lettori dai veri lettori è il motivo per cui si legge. Lo si fa per conoscere sé stessi, il mondo che ci circonda, gli esseri umani, la loro mente, le loro sensazioni ed emozioni. La letteratura è un mondo immaginario che ha solide fondamenta nella realtà, nella vita vera. È il riflesso, modificato, tagliato, incollato, spostato, di esperienze quasi sempre reali, anche quando non sono mai accadute. E questa conoscenza intima del mondo avviene attraverso la lettura soprattutto perché si intuisce che è un mezzo capace di toccare certe corde dell’anima. Ma queste cose, chi legge (o fa finta di leggere) solo per farsi vedere, solo per apparire, non può certo capirle. E, in questi casi, leggere non serve a niente.
Ah, mi sono dimenticato l’ultima cosa. Ci sono anche tantissime persone che aprono blog letterari e scrivono articoli su articoli raccontando le proprie letture, nonostante abbiano ben poco di interessante da dire e si limitino a straparlare di una cosa che probabilmente non hanno neppure capito.
E sì, probabilmente io sono tra queste.
(foto di officinamasterpiece.corriere.it)