Per una serie di circostanze, sono capitato a Prato alla fine del 2018, una decina di anni dopo la grande manifestazione che ha unito in una sola piazza tutto il tessuto produttivo pratese.
Si protestava contro la globalizzazione selvaggia che ha ridimensionato pesantemente il settore del tessile in una città che basava (e basa) su quel settore la propria ricchezza.
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La manifestazione viene raccontata alla fine di Storia della mia gente (pubblicato da Bompiani), libro dal genere letterario non meglio precisato – un ibrido tra autobiografia, saggio e romanzo – che ha come protagonista proprio Prato e la sua declinante industria. L’autore, Edoardo Nesi, ripercorre la sua storia personale di imprenditore, figlio di imprenditori, che prima della grande crisi getta la spugna e vende l’azienda.
Il libro non affronta l’argomento con intento storico, non cita dati, ma si basa su un sentimento di rabbia soprattutto nei confronti di chi ha creduto che il mercato unico globale sarebbe stato il miglior futuro per tutti. Evidentemente non lo è stato per Prato che, a causa della concorrenza cinese, ha visto il declino di tante ricche piccole aziende tessili.
Nesi è arrabbiato, come tutti gli industriali in declino, perché ha perso quel sogno di prosperità economica che pensava di avere di diritto.
Il libro scorre velocemente, con alcune pagine davvero belle (in particolare il racconto del sogno in cui un disoccupato italiano si scontra con un giovane cinese).
Ma da uomo del sud, che non ha avuto la fortuna di crescere in un posto ricco e industrializzato, non riesco a capire fino in fondo la rabbia di Nesi. E, soprattutto, non riesco a capire perché un libro del genere – piacevole, scorrevole e per certi aspetti anche utile – abbia vinto nel 2011 il Premio Strega.