Perché Stephen King ama Harry Potter? Perché Harry Potter da libro per bambini è diventato romanzo per adulti; ma anche per le qualità narrative dell’autrice, J.K. Rowling. Sicuramente per la magia, ma anche perché c’è stato prima del maghetto un predecessore “illustre” come la serie Piccoli brividi. Ovviamente fanno la loro parte anche la storia, il ritmo e i personaggi. E forse, in fondo, Stephen King ama Harry Potter anche per qualche difetto.
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Tutto questo ce lo spiega lo stesso King in un articolo pubblicato nel 2007 su “Entertainment Weekly” e riproposto sul numero di aprile 2021 della rivista “Linus” nella traduzione di Tiziana Lo Porto. A diversi mesi dall’uscita dell’ultimo romanzo della saga, I doni della morte, l’autore di It aveva provato ad analizzare i motivi per cui l’opera di J.K. Rowling era (ed è) di estremo valore.
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In questo articolo provo ad analizzare i punti principali del discorso di King, molto articolato, pieno di ironia e riferimenti. Credo sia interessante per avere sottomano i motivi per cui una serie di romanzi come Harry Potter sia riuscita ad avvicinare milioni di “non” lettori al mondo dei libri e della letteratura.
Perché Stephen King ama Harry Potter: da libro per ragazzi a libro per adulti.
È opinione abbastanza diffusa considerare i libri di Harry Potter, volume dopo volume, una lunga evoluzione da intrattenimento per ragazzi a prodotto per adulti. E tra i motivi per cui Stephen King considera Harry Potter una grande serie di romanzi c’è anche quest’aspetto. Per avvalorare la sua tesi, lo scrittore americano riporta anche un esempio tratto dall’ultimo romanzo della serie, I doni della morte.
«Il segnale più evidente di come, verso la fine, quelli di Harry Potter siano diventati libri per adulti arriva – e lo fa sontuosamente – nei Doni della morte, quando la signora Weasley vede l’odiosa Bellatrix Lestrange che cerca di fare fuori Ginny con una Maledizione Mortale. “Mia figlia no, cagna!”, urla. È il cagna più scioccante nella recente narrativa di finzione; dal momento che nei libri di Harry Potter teoricamente non ci sono imprecazioni (né maledizioni verbali), questa qui arriva con una forza che è quasi letale. È assolutamente giusta in quel contesto – davvero perfetta – ma è anche la reazione tipica di un adulto che vede un bambino in pericolo».
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Perché Stephen King ama Harry Potter: J.K. Rowling, «una romanziera incredibilmente dotata»
La maggior parte dei lettori di Harry Potter ha seguito per un decennio l’avvicendarsi dei libri della serie. Secondo King, però, non sono cresciuti solo i lettori, è cresciuta – qualitativamente – anche J.K. Rowling. Insieme al successo, è aumentata anche la sua capacità letteraria, aspetto troppe volte sottovalutato dalla critica. «J.K. Rowling – scrive King – è una romanziera incredibilmente dotata». E prosegue: «Il talento non è mai statico, è destinato a crescere o a scomparire». Con l’ultimo romanzo «è diventata una delle penne più raffinate del suo paese». «Senz’altro del calibro di Beryl Brainbridge o Martin Amis».
Beryl Brainbridge è un’autrice poco nota e poco tradotta in Italia, della quale non ho letto nulla e che non conoscevo. Invece mi ha fatto molto effetto vedere nominato Martin Amis, un autore che da anni viene tradotto in Italia, credo senza particolari successi commerciali, ma molto amato dagli scrittori italiani e dalla critica. Purtroppo non ho ancora letto nulla di suo, ma recentemente ho visto commenti molto positivi da parte, per esempio, di Diego De Silva e di Vanni Santoni. C’è poi Paolo Zardi, un autore che ha un blog molto bello (si chiama “Grafemi”) e che parla sempre in toni entusiastici di Amis.
Ecco, sarebbe interessante capire in che modo la prenderebbero questi amanti di Amis a vederlo affiancato a J.K. Rowling.
La magia, la cosa che vogliono tutti i bambini
L’altro elemento che secondo King rende Harry Potter una grande serie di romanzi è la magia. La magia nella creazione di J.K. Rowling non è solo qualcosa di accennato o che si affaccia genericamente nel fantastico. Harry Potter è un giovane mago che si trova in un mondo di maghi. «È la cosa che desiderano di più i bambini; è ciò che bramano», scrive King. La magia, però, non ha la stessa presa sugli adulti. Forse perché quando si viene risucchiati dalle incombenze della vita, si perde quella genuina voglia di vivere in un mondo altro rispetto al proprio.
Oppure il motivo è che, come scrive King, un bambino che parla con un essere immaginario è socialmente accettato, invece un adulto che fa lo stesso viene portato via dai poliziotti e richiuso «nella cella degli ubriachi o nel nostro fantastico distretto di polizia locale per un esame psichiatrico». I lettori adulti della Rowling, ci dice King, sono diventati adulti con lei, sono entrati nel mondo della letteratura da ragazzini e ci sono rimasti anche nell’età adulta.
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Piccoli brividi e Harry Potter
Quando ero alle scuole medie, la professoressa di italiano dedicava un’ora a settimana solo ed esclusivamente alla lettura individuale. All’epoca non avevo ancora sviluppato la passione per i libri, anche se credevo che potesse essere una cosa molto interessante. Mi affascinava soprattutto l’idea di calarmi in un mondo alternativo al mio. Anche se non furono quelle ore di lettura a farmi appassionare. Ricordo, però, che molti miei compagni di classe avevano tra le mani dei libretti di piccolo formato e dalle copertine fluorescenti con una scritta ben in risalto: “Piccoli Brividi”.
Ecco, di quei libri, molto diffusi in Italia all’inizio degli anni Duemila, ne parla anche Stephen King, affiancandoli alla saga di Harry Potter. L’autore di questa serie è Robert Lawrence Stine e ha fatto negli anni precedenti quello che è riuscito a J.K. Rowling, cioè tenere incollati a delle pagine scritte dei ragazzini che in tanti hanno sempre “accusato” di essere più interessati ai videogiochi che ai libri. Il primo romanzo di Piccoli brividi è uscito in America nel 1992, Harry Potter e la pietra filosofale è uscito in Inghilterra nel 1997. Insomma, per King Piccoli brividi è riuscito a fare una cosa molto simile a Harry Potter.
Perché Stephen King ama Harry Potter: storia, stile, ritmo e personaggi
Arriviamo, adesso, ai motivi più prettamente letterari per cui Stephen King ama Harry Potter.
«La sua scrittura è incentrata sulla storia. Più che luminosa è lucida, ma va bene così: quando esprime sentimenti forti, continua ad amoreggiare con quei sentimenti senza negarne verità o potenza».
Poi King sottolinea le qualità stilistiche della Rowling. Cita un episodio nei Doni della morte in cui Harry ripensa alla sua infanzia con gli zii.
«“Ricordare quei tempi gli diede una strana sensazione di vuoto”, scrive Rowling. “Era come ricordare un fratello minore perduto”. Onesta, nostalgica, mai sciatta. È un piccolo esempio dello stile che ha permesso a Jo Rowling di colmare la distanza tra generazioni senza sudare né perdere quella gioiosa dignità che è una delle cose più affascinanti della serie».
Inoltre, King sottolinea la grande costruzione dei personaggi, «vivi e ben disegnati», e il ritmo narrativo generale: «la storia nel suo insieme è un incastro perfetto nelle sue quattromila e più pagine».
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Qualche difetto
Ovviamente King non considera perfetti i libri di Harry Potter. Per esempio, sottolinea le forzature nella trama, soprattutto quando le cose si mettono particolarmente male per i personaggi: Harry e i suoi amici si inventano un nuovo incantesimo e magicamente riescono a uscire dalla situazione di pericolo. Proprio come fa Robinson Crusoe nel romanzo di Daniel Defoe. Il naufrago più famoso della letteratura, infatti, aveva la sua nave, con un mucchio di comodità, arenata a poche bracciate dalla riva. Quando aveva bisogno di qualcosa, Robinson andava nella stiva e recuperava l’oggetto utile a risolvere il problema.
Ecco, questi sono i classici errori che potrebbero infrangere quel patto con il lettore e la sospensione di incredulità su cui si basa la narrativa di finzione, in particolare quella fantastica. Però questi “errori” sono considerati veniali da King:
«Perché in me c’è abbastanza bambino da farmi reagire allegramente invece che dubbiosamente, ma anche perché capisco che la magia è una cosa a sé, e che forse non ha limiti».
Cosa ne penso, in conclusione
Quella di Harry Potter è stata una delle storie più presenti nella mia giovinezza. Ammetto, però, di non essere mai stato un fan sfegatato. Come la maggior parte delle persone, sono stato catturato prima di tutto dalla versione cinematografica, ma ho letto anche alcuni volumi della serie. In particolare, ho ingenuamente letto solo il primo e gli ultimi due: all’epoca pensavo che aver visto il film potesse sostituire la lettura del libro; avendo visto l’Ordine della fenice, decisi di passare a leggere direttamente Il principe mezzosangue.
Potete quindi capire che non ero certo un lettore consapevole quando lessi questi romanzi, ma devo certo ammettere che la voglia di sapere come sarebbe andata a finire era un fortissimo stimolo alla lettura. Da questo punto di vista, infatti, sono assolutamente d’accordo con Stephen King, soprattutto quando se la prende con gli studiosi seriosi:
«Gli accademici presuntuosi sembrano essere convinti che la magia di Harry non sarà abbastanza potente da trasformare una generazione di non lettori (soprattutto la metà maschile) in topi da biblioteca… Ma non sarebbero i primi a sottovalutare la magia di Harry; basta guardare cosa è successo a Lord Voldemort».
Bisogna ammettere, in effetti, che non sono stati proprio dei grandi profeti, questi «accademici presuntuosi».
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