Non voglio citare a sproposito capolavori della letteratura mondiale, ma a me pare che i quattro romanzi dell’Amica geniale di Elena Ferrante siano in realtà un unico grande romanzo, come i sette volumi della Recherche di Proust sono un’unica opera. Questo appare chiaro, oltre che leggendo i libri di Ferrante, osservando le date di pubblicazione: a partire dal primo volume, i vari capitoli della serie sono usciti tutti a un anno di distanza l’uno dall’altro (dal 2011 al 2014). Probabilmente l’editore E/O ha scelto di pubblicare i volumi separati per non spaventare i lettori, che – come è noto – sono poco propensi a comprare libri troppo lunghi. In questo articolo, provo a spiegare cosa mi è piaciuto e cosa no di Storia della bambina perduta, quarta e ultima parte della storia di Lila e Lenù.
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Indice
Elena Ferrante, Storia della bambina perduta
Perché ho letto Storia della bambina perduta
Ho ascoltato l’intera saga di Elena Ferrante in audiolibro. Sono assolutamente soddisfatto dell’esperienza di ascolto perché l’attrice Anna Bonaiuto è bravissima e soprattutto nei dialoghi riesce a rendere perfettamente l’intonazione delle voci, molto meglio di quanto possa fare la sola immaginazione del lettore. Inoltre, anche se nel romanzo non è presente il dialetto (a differenza di quanto avviene nella serie televisiva), Bonaiuto fa emergere l’accento e la cadenza napoletana soprattutto quando i personaggi esprimono forti emozioni negative o appartengono a una classe sociale bassa. Un’esperienza d’ascolto nel complesso magnifica.
Dopo aver molto apprezzato il terzo volume della serie, Storia di chi fugge e di chi resta, un romanzo perfettamente centrato e in grado di rappresentare il clima socio-politico dell’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, ho voluto subito concludere la saga. Anche perché, come già anticipato, i quattro volumi sono un vero e proprio romanzo unitario.
Cosa racconta Storia della bambina perduta
Se Storia di chi fugge e di chi resta è un romanzo con un’idea centrale ben salda e perfettamente riassunta nel titolo, Storia della bambina perduta ha al centro soprattutto la presa di consapevolezza di una delle due protagoniste, Elena Greco. Il rapporto di amicizia con Lina Cerullo è sempre molto approfondito ed è evidentemente il cuore di tutta la narrazione, ma questa volta il vero punto focale è il cambiamento di Elena.
Il romanzo si apre con Elena che va in viaggio con Nino Sarratore, abbandonando la famiglia per alcuni giorni. Veniamo a sapere finalmente perché Nino è un personaggio così odiato (per saperne di più, consiglio la lettura di questa analisi di Nino Sarratore del blog Eccoilibri), ma non solo. Capiamo in che modo evolve il rapporto tra Lina ed Enzo e di come si sono costruiti la loro fortuna. Scopriamo che fine fanno tutti i personaggi che Elena Ferrante ha costruito con pazienza e maestria lungo l’arco di 1700 pagine (dal primo al quarto volume).
I temi del romanzo
Anche in Storia della bambina perduta ci sono numerosi temi, ma sono affrontati con meno decisione, soprattutto rispetto al romanzo precedente. Le questioni politiche e sociali, come la lotta di classe e la situazione nelle fabbriche italiane, sono praticamente assenti questa volta. Tutto si concentra sulle vite delle due protagoniste e le tematiche che emergono sono sempre “private”. Grande spazio occupano le relazioni sentimentali, in particolare quelle extraconiugali; e ci sono anche tutte le conseguenze: la separazione dei coniugi, la gestione e la crescita dei figli, l’indipendenza economica delle donne. In un arco narrativo così lungo, che parte negli anni quaranta e finisce negli anni dieci del XXI secolo, i personaggi invecchiano e svolge un ruolo importante anche il tema della malattia e della morte. Ferrante ci racconta anche i problemi dell’identità di genere e riprende con più decisione il tema (già presente in passato) della mentalità camorristica napoletana.
Tanta carne al fuoco, ma questa volta non mi ha convinto il modo in cui Ferrante ha amalgamato tutti gli ingredienti. Mi sembra che l’autrice si sia concentrata in modo eccessivo sui risvolti sentimentali della vicenda, spostando tutto sulla componente emotivo-sentimentale, lasciando da parte l’affresco storico-politico. Una scelta che mi rendo conto possa piacere a molte lettrici e lettori, ma è il motivo principale per cui questo capitolo della saga mi è parso molto sottotono rispetto al precedente.
Come è scritto Storia della bambina perduta
Da un punto di vista squisitamente stilistico, Storia della bambina perduta non differisce dai romanzi precedenti. Il narratore è sempre interno alla storia (Elena Greco) e il punto di vista varia, concentrando la focalizzazione (a volte interna, a volte esterna) sui numerosi personaggi. Questa volta vengono molto usate le tecniche del sommario e dell’ellissi. Infatti, in molti punti viene riassunta la storia degli ultimi anni di vita dei personaggi secondari e spesso si salta da un racconto all’altro, omettendo tanti eventi intermedi. Non ci sarebbe niente di strano in questo, però mi è parso che nelle ultime pagine Ferrante si sia affaticata a far quadrare tutto non riuscendoci pienamente. Forse alcuni personaggi potevano anche svanire nel nulla, piuttosto che essere liquidati con pochi passaggi a volte anche forzati o fin troppo banali (le numerosi morti di infarto).
Allo stesso tempo, capisco che una storia così ampia e complessa non sia facilmente governabile e, anzi, bisogna riconoscere la bravura, la dedizione e l’ambizione di Ferrante: costruire un’opera mondo è sempre complicato e in pochi riescono a ottenere il risultato, seppure imperfetto, che lei ha raggiunto.
Un parere complessivo sull’intera saga
La saga dell’Amica geniale ha avuto un successo di pubblico così strepitoso da renderne obbligatoria la lettura, almeno per poter capire di cosa si parla. La serie televisiva ha moltiplicato una popolarità che era già straordinaria. Molti lettori snob preferiranno tenersi alla larga da questa tetralogia (e ammetto di aver fortemente rischiato di fare questo errore). Pur non credendo che L’amica geniale sia un capolavoro, penso che Elena Ferrante sia riuscita a raccontare con vividezza una storia in cui ci sono tanti temi universali. Lo sguardo femminile sulla vita, la società e gli uomini non sempre mi ha colpito, ma mi rendo conto che è una saga che potrà aprire gli occhi su molte questioni, soprattutto a quel pubblico di lettrici casuali che non avrebbe mai letto romanzi con dei temi tanto forti. In chiave femminista, credo sia un’ottima saga.
Da un punto di vista prettamente narrativo, invece, devo ammettere di non aver apprezzato la conclusione. Mi è sembrato un finale, se non raffazzonato, quantomeno inconsistente. Certo, prova a chiudere il cerchio di una narrazione che affronta più di settant’anni di eventi, ma lo fa in modo davvero deludente e anche forzato.
Cosa ne penso, in conclusione
Ritornando al mio giudizio sull’ultimo volume della saga, Storia della bambina perduta, devo ammettere che forse le mie aspettative erano fin troppo alte. Il finale del terzo volume, Storia di chi fugge e di chi resta, lasciava presagire che piega avrebbe preso il quarto volume, anche se nel complesso mi è sembrato un libro piacevole. I numerosissimi personaggi hanno costretto Ferrante a fare i salti mortali per provare a chiudere tutto nella maniera migliore possibile. E se posso soprassedere su questo punto, da lettore non posso certo accettare una conclusione del romanzo (e quindi dell’intera saga) tutto sommato deludente.
Guardando però il lavoro complessivo, credo che Elena Ferrante abbia costruito una storia complessa e imperfetta che ha soprattutto il merito di toccare molti temi cruciali per l’emancipazione delle donne, con la speranza che possa avere un’influenza positiva su una certa mentalità retrograda ancora oggi troppo presente.