Tre piani di Eshkol Nevo è un libro molto piacevole da leggere, ma ha un unico, enorme difetto, a mio avviso: è fin troppo costruito. Cercherò di spiegare cosa intendo nel corso dell’articolo, perché è una sensazione che mi è venuta da un certo punto della lettura in poi. E non è più andata via.
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Comunque, Eshkol Nevo è un autore israeliano che scrive in ebraico, il suo libro più famoso è La simmetria dei desideri: l’ho comprato qualche tempo fa, ma ancora non l’ho letto. Ho letto, invece, un altro suo romanzo, L’ultima intervista: molto particolare nella struttura, ma davvero troppo lungo. Inoltre, durante la lettura ho avuto la stessa sensazione di artificiosità ed eccessiva costruzione che ho notato in Tre piani.
Perché ho letto Tre piani di Eshkol Nevo
Tante persone leggono un libro dopo aver visto il film. Io ho scelto di leggerlo prima dell’uscita del film, attratto anche dalla storia. Infatti, avevo saputo che Nanni Moretti stava lavorando al suo nuovo film tratto proprio da Tre piani di Eshkol Nevo, un autore che all’epoca non avevo ancora sentito nominare. In più, ne ho sentito parlare molto bene anche sui social e in particolare ricordo un entusiastico consiglio di Alessandro Cattelan su Instagram.
Il film di Moretti, nel frattempo, è stato rimandato più volte a causa della pandemia di Covid-19, ma le ultime notizie danno il lungometraggio in uscita il 23 settembre 2021. Sono curioso di capire come il regista sia riuscito a trasporre un libro così particolare.
Cosa racconta
Tre piani, per essere brevi, racconta la storia di una palazzina alla periferia di Tel Aviv. Più precisamente, racconta la storia delle famiglie che vivono nei tre piani di quel condominio. I racconti che si alternano sono tre: si sfiorano, ma non si intrecciano mai veramente.
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Non so voi, ma questa idea narrativa mi ha subito incuriosito: non mi interessavano tanto le storie dei personaggi, ma il fatto che essi vivessero tutti in un unico edificio. A fine lettura posso dire che mi aspettavo qualcosa di diverso, però il fatto di avere un’ambientazione ben tratteggiata già dall’inizio e che ritorna in storie con protagonisti e narratori diversi, mi ha dato una piacevole sensazione di familiarità.
Eshkol Nevo per i tre piani del romanzo si è ispirato alla struttura della psiche umana teorizzata da Sigmund Freud: Es, Io e Super-Io. Breve riepilogo per chi non conoscesse questa tripartizione: l’Es è la parte oscura della nostra personalità, che rappresenta le passioni sfrenate; l’Io è la parte che prova a far emergere la ragione e l’avvedutezza, ma si trova a dover mediare continuamente tra mondo esterno, pulsioni dell’Es e leggi del Super-Io. E proprio il Super-Io, infatti, è quella parte della psiche che esige il rispetto di determinate norme di comportamento e punisce l’Io in caso di inadempienza, facendo emergere sentimenti di inferiorità e colpa.
Non spaventatevi se non ne capite molto di questa roba, in fondo, come sottolinea anche il blog Recensire il mondo, la chiave di lettura freudiana non è quella che dà sostanza al libro. Prendetela come un di più, un livello ulteriore di lettura.
Ritorniamo al libro. La materia dei racconti di Nevo a tratti si fa incandescente, ma poi si raffredda nel finale con una svolta fin troppo consolatoria. Nevo riesce a scavare nelle inquietudini umane, ma a un certo punto sembra quasi voglia fermarsi e lasciare ad ogni costo emergere i buoni sentimenti. Non che questo sia un problema, ma, secondo il mio gusto personale, dovrebbe essere ben inserito nell’evoluzione della storia. Mi pare, invece, che in Tre piani arrivi un deus ex machina qualsiasi che imprime una svolta inaspettata (e consolatoria) alla vita dei personaggi.
Come è scritto
Ormai è chiaro che Tre piani non è un romanzo convenzionale nella struttura. Allo stesso tempo, però, risulta difficile considerarlo una raccolta di racconti. I tre piani in cui è diviso il libro non sono altro che tre storie con tre narratori diversi che si rivolgono, nella finzione letteraria, a tre ascoltatori (quelli che in gergo tecnico si chiamano narratari).
Ognuno di questi racconti si trasforma in una sorta di monologo interiore recitato, in cui emergono ricordi, sensazioni, paure e digressioni. Le tre voci raccontano le loro storie in occasioni molto differenti: il primo racconto riproduce una conversazione tra il narratore e un amico; il secondo riproduce una lettera inviata da una donna a una amica che non sente da molto tempo; il terzo, infine, riproduce le parole pronunciate da una moglie alla segreteria telefonica del marito morto.
Nessuno degli interlocutori immaginari interviene nei racconti, ma sono la scusa perfetta (che affonda le sue radici nella tradizione letteraria mondiale) per avviare e dare senso a una narrazione. Ho senz’altro apprezzato questa tecnica: mi ha dato l’idea che Eshkol Nevo sapesse davvero cosa stava facendo. E questa sensazione credo sia sempre importante quando si legge un libro.
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Una citazione di Tre piani di Eshkol Nevo
Adesso voglio farvi leggere un estratto dal romanzo. È abbastanza lungo, ma credo valga la pena leggerlo per capire alcune cose. Siamo nel secondo racconto. La protagonista/narratrice parla del rapporto con i figli. Una confessione molto dura. Eccola:
“Sono sconfitta. Dalle gravidanze. Dalla mancanza di sonno. Dall’angoscia che la somiglianza tra Liri e mia madre non sia solo apparenza. Dalle lunghe giornate durante le quali non scambio una parola con un adulto, a parte le conversazione mattutina con Assaf, che cerca di farmi ridere ma mi fa solo sentire più infelice, perché mentre lui è in movimento io me ne sto ad ammuffire in casa. Nessuno lo ammette, ma passare così tante ore con dei bambini inaridisce.
Magari ci sono mamme che trovano la felicità costruendo modellini con i figli. Io no. Non sopporto i modellini. Ne ho le tasche piene di colla, tempere e forbici. Nei due primi anni con Liri, ogni puzzle completato era un momento di emozione. Ma poi basta. Ci sono lampi, momenti di grazia, ma ormai da otto anni mi trovo intrappolata – sì, è questa la parola –, intrappolata nel mio desiderio di riuscire nella missione in cui mia madre ha fallito, e intanto la polvere del tempo mi ricopre, Neta. E io mi lascio ricoprire. Lo so che è un’immagine ormai logora, ma sono logorata anch’io. Non ho la forza di fingere un’allegria che non provo più” (p. 122).
Cosa ne penso, in conclusione
In conclusione, Tre piani di Eshkol Nevo credo sia un discreto libro. A tratti mi ha esaltato (come nella citazione riportata sopra) a tratti mi ha annoiato e a tratti (soprattutto nel finale) mi ha deluso. Ho molto apprezzato la maestria nel gestire le voci narranti, tutte sufficientemente caratterizzate. Le storie raccontate, in particolare le prime due, sono ricche di fatti e fluiscono con piacevolezza, lasciando la giusta inquietudine al lettore. Purtroppo, quello che mi sembra manchi a Nevo è la spontaneità: ho l’impressione, cioè, che le sue storie siano fin troppo costruite. Sembra quasi che il suo obiettivo sia sempre quello di piacere a ogni costo al lettore. Per questo sta bene attento a non toccare troppo la sensibilità di chi legge.
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Mi interessa il tuo approccio alla lettura
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